Sacrifici per un suo desiderio.

Da un pò che il "Cinghiale ce la menava": voleva ritornare a Montauto (uno dei luoghi da lui preferiti in gioventù per andar da solo e, magari, far tanti funghi) e ritrovare quella che lui asseriva fosse una delle capanne-rifugio del Tiburzi.

Ma vuoi per un motivo ( periodo di sfiga nella salute fisica di alcuni dei più fidati ) o per l'altro ( tutti sapevamo che sarebbe stata una cinghialata da matti), non avevamo abboccato all'esca. Poi, visto che le cinghialate le fa da solo e magari si fa anche male, visto che da un pò eravamo fermi e l'avventura ci chiamava, abbiamo deciso di ire in un Giovedi mezzo piovoso, in tre: Lui, Lino e me.

Montauto è alle spalle di Montalto, ci si arriva dalla Strada del Fiora, prendendo poi la provinciale per Manciano e quindi, dopo un paio di Km, un tratturo per un 500m. Qui ci si ferma perchè, udite udite, anche la campagna sta diventando da quelle parti cosa segregata: "Fondi chiusi" dapertutto, delimitati da brutti fili spinati, neanche fossimo nelle trincee della 1° guerra mondiale! Ma dietro questi cè il nulla e nulla ci fa intendere perchè siano chiusi e per quale finalità di studio o ricerca!?

E nulla ci ferma: percorso di guerra con zaino in spalla, avanzando proni o strusciando accovacciati sotto i rovi, aggiriamo le postazioni nemiche e sbuchiamo in un Fondo, forse l'unico, di un gentile, vispo, signore di età come la ns con cui conversiamo amabilmente per un pò: ci indica una strada che attraversa la sua terra, atta a portarci in prossimità della tanto agognata "capanna" e, salutatolo, ci avviamo.

Voi crederete che tutto così filò liscio? E no! Troppo facile: il ns mentore se non trova un percorso da cinghiale in fuga dalla muta dei cani non è soddisfatto! E così dopo un pò abbiamo lasciato lo stradello, buttandoci dentro la macchia, in un saliscendi da mozzafiato, su terra bagnata e friabile, in mezzo a rovi e cespugli che attraversavamo diretti, come cinghiali appunto, strappandoli per aprirci a forza un varco. Si arriva ad un fosso, forse quello giusto, da risalire come "delta force" nella giungla vietnamita, per poi scoprire che forse non era quello,.... che bisognava andare oltre il colle di fronte per trovarne un secondo. E intanto cominciava a piovere, tuoni e tuonetti: così s'avanza nel buio bagnati; lui avanti a seguir il suo naso, noi dietro con il sudore che entrava negli occhi bruciando, gli occhiali appannati quando restavano sul naso e non venivano strappati da qualche ramo.

S'arriva verso le 12, già un paio d'ore di "cammino" se n'erano andate, al secondo fosso: lo si risale come scimmie stanche per un pò, ma verso le 13 si desiste. Non era quello giusto: piove, si è tutti graffiati, menu Lui con la sua pelle di cuoio vecchio; ma, non lo dice, è stanco anche Lui. Prua a 180° e si ritorna. Arriviamo al primo fosso, più in alto di dove l'avevamo lasciato, scendiamo per un bel pò e...verso le 14 un grido: " eccolo, l'abbiamo trovato".

Il "rifugio-capanna" tiburziano era lì, nella boscaglia, poco più su del fondo del fosso, ben nascosto, intatto nella sua struttura "murale", ma chiaramente semidistrutto. Fa uno strano effetto pensare che delle persone abbiano potuto viverci, anche se in emergenza, ma è ben costruito ed ha anche delle vie di fuga ben posizionate.

Ce ne stiamo un pò li a far due foto e quindi di nuovo giù per il fosso a ritornare. Una breve sosta in una piccola radura per rifocillarsi con due panini ed un pò di vino, un paio di recinzioni di 5 fili spinati da superare, un cancello "lanciato" da saltare ( non dico chi, avendo il cavallo basso, ha rischiato di perdere i pendenti, già ex-gioielli) ed alle tre si è in macchina felici di ritornare nella ns civilissima, ridente, tranquilla, moderna, industriosa, pulita cittadina.

Godetevi un pò di foto e poi....

LA CAPANNA DELLO "ZIO TIBURZI"
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Leggi alcune note ( con un inframezzo piccato!) del ns Vanì

BY ACE