PREMESSA

Avremmo dedicato oggi, noi del Tiburzi, la nostra migliore escursione ai Soci del CAI di Caserta, come il programma prevedeva ma, per una serie di note concomitanze negative, sono solo presenti i seguaci del Tiburzi.

Ubicazione del sito:

Proseguendo la strada Civitavecchia - Viterbo, dopo Monteromano, in località Cinelli, occorre deviare a sinistra per una comoda strada asfaltata, seguendo la utile segnaletica stradale. Giunti in fondo, tre chilometri c.a. dal bivio, dopo il ristorante, si prenda la strada a sinistra percorrendola fino al termine ove è posto un utile parcheggio. Qui l’inizio “escursione”. Si imbocchi il sentiero che traversa, in direzione nord-ovest, tutto l’altipiano di Pian delle Vigne, giungendo a ridosso di alcuni cartelli ove sono riportati, a cura dell’Amm.ne Prov.le di Viterbo, i disegni ed i prospetti delle più significative tombe della necropoli. Quasi tutte costruite tra il IV e II secolo a.C. dal popolo etrusco, per la ricca aristocrazia agraria del luogo, si estendono sui versanti dei torrenti Biedano, Pile ed Acqualta, mentre la città e l’Acropoli sono poste sul picco tufaceo a forma di testa di vipera con andamento est-ovest, delimitato su tutti i lati da quei torrenti.

Visita delle Necropoli:

Ci si deve inoltrare lungo la Valle del Torrente Pile, scendendo uno scosceso sentiero, ricavato nel tufo attraverso le tombe che subito ci si pongono avanti.

Incontriamo tra le altre, la monumentale tomba della ricca famiglia degli Smurinas, una grandiosa tomba con due facciate a dado, attribuita a quella gente in base a delle iscrizioni riportate su alcuni sarcofagi trovati all’interno delle sue camere sepolcrali. Ai suoi lati le scale per l’accesso sulle terrazze ricavate sopra i “dadi”, ove durante i funerali prendevano posto gli amici del defunto per i banchetti funebri, mentre i familiari si ponevano nel vano di sotto facciata, il porticato, sorretto da enormi colonne di tufo. Il defunto veniva deposto nella camera funeraria, ipogea, attraverso il passaggio entro il dromos, situata in un ambiente sottostante. E’ questo un esempio classico di tomba a dado di duemilaquattrocento anni fa, la cui facciata veniva dipinta, ponendo in risalto le decorazioni in basso rilievo a becco di civetta (modanature), rappresentanti una o più false porte di accesso. La vasta camera funeraria centrale, attraverso corridoi aveva accesso su altre celle laterali, e permetteva al complesso funerario di contenere, in alcuni casi, anche i membri di più generazioni di un’intera famiglia. Ma nulla è cambiato nel tempo, anche oggi si incontrano, nei nostri cimiteri, tombe monumentali simili, fatte costruire da famiglie abbienti, pur se la morte è una livella …

Proseguendo il sentiero, ci portiamo avanti la parte più grandiosa e monumentale della necropoli, perché meglio conservata e manutenuta e posta ad esempio delle altre valli, che di tombe così imponenti, ne contengono centinaia, per tratti anche oltre i due chilometri, sovrapposte, in alcuni casi, secondo tre o più ordini di file, ma che giacciono sotto la vegetazione. E’ questo aspetto particolare che consente di definire Norchia, la più bella e significativa necropoli rupestre d’ Etruria!

Si pongono ora, avanti il nostro sguardo, sul piano di calpestio la tomba dei Veie, la tomba Prostila, riconoscibile perché il suo porticato, come del resto tutte le altre che ne possedevano uno, era sorretto da colonne. In alto a sinistra scorgiamo la tomba Ciarlanti, il cui singolare vano di sottofacciata, diviso in tre parti, ha fatto sbizzarrire la mente di più di un archeologo. Su in alto spicca la tomba del Camino, per la sua tettoia che sporge sul sottovano, priva di sostegno.

Giunti sul fondo valle, proseguiamo verso ovest, in senso inverso al cammino delle acque del torrente Pile, seguendo una comoda carrareccia. Sulla nostra sinistra sporgono altre tombe delle specie più disparate, a fossa, a semidado a dado, mentre sulla nostra destra, si erge l’acropoli di Norchia, raggiungibile attraverso un sentiero in lieve pendio, che costeggia il fossato difensivo realizzato dal popolo etrusco per difendersi dagli assalti delle legioni romane. Risalito il fossato, ci troviamo avanti una porta entro una larga tagliata, ove correva la Via Clodia, proveniente dalla Grotta Porcina, Blera (Ponte del Diavolo) e dagli altri paesi etruschi in direzione di Roma, posti sulla destra del Fiume Tevere. Entriamo quindi in Norchia per la porta ovest della città, ove si notano vestigia etrusche evidenti soltanto sui margini dei dirupi. Le case etrusche ove non demolite per costruire il Castello dei Di Vico, delle Chiese di S.Pietro e S.Giovanni, giacciono sotto la coltre di terra depositatasi con il tempo. Raggiungiamo la costa di nord ovest, da cui si gode una bella vista sul Torrente Biedano, percorrendola fino a raggiungere una serie di Tombe a camera del IV III secolo a.C., riutilizzate in epoche successive, quali colombari, per la deposizione di anforette contenenti le ceneri di defunti. Là, dove venivano contenute due massimo tre deposizioni, vengono ospitati tre o quattrocento incinerati (globalizzazione!). Ci spostiamo sul versante opposto per godere, e scattare qualche bella foto, al complesso tombale dalla Valle del Pile, che abbiamo da poco lasciato. Veramente suggestiva la vista di insieme delle tombe a facciata, anche se avevamo contato di fotografarle, con l’ausilio dei raggi del sole provenienti di lato, con effetti speciali di ombre e volumi. Ma il sole di farsi vedere, oggi, non ne vuole proprio sapere; anzi comincia a cadere qualche goccia di pioggia. Traversiamo un tratto evidente della Via Clodia passando per una breve sella, sul colle opposto. Visitiamo il Castello Medievale fatto erigere da Adriano IV nel XII secolo, passato in seguito tra le proprietà della potente e spietata famiglia dei Di Vico. Giungiamo infine sotto la Chiesa di S.Pietro, le cui ristrutturazioni risultano coeve alla data di costruzione del Castello, ma che doveva già esistere fin dal IX secolo. Ma, del resto, tutte le emergenze evidenti (castello, chiese) sono state erette su preesistenze etrusche (porte, corpi di guardia e templi pagani), La chiesa, in blocchi di tufo sottratti alle abitazioni etrusche, a tre navate, conserva ancora la cripta, ove si nota il riutilizzo di colonne romane del periodo repubblicano. Sopra l’abside, in bilico, è posto un blocco di tufo che è lì da tempo immemorabile, un giorno o l’altro cadrà giù o forse sopravviverà a tanti.

Ma è ora di pranzo e nell’apposita area attrezzata, come al solito, vuotiamo il sacco, ricco di prelibatezze e di bevande, certe alcoliche, proibizionismo a parte.

Ore 13.00, si riparte. Ci attende la cava buia, ove transita all’interno la nostra Clodia, che dopo la Porta Ovest, che conserva cammino di ronda e feritoie medievali, presumibilmente eretta nel punto in cui si innalzava quella etrusca, deviava a sinistra ma ora è interrotta per la frana di grandi blocchi di tufo. Noi dobbiamo scendere e raggiungere un sentierino sulla sinistra e, attraverso la porta di una tomba demolita, passiamo sul versante opposto fiancheggiando il torrente Biedano. Qui cerchiamo un possibile guado, ove l’alveo si restringe, perché invaso da grosse pietre. Ma un tratto del torrente non coperto va by-passato con una serie di tronchi d’albero per saltare dall’altra parte. Qualcuno munito di “palombara”, provvede alla costruzione del ponte sul fiume, aiutando i più precari a passare all’altra sponda…

La lunga tagliata etrusca.

La cosi detta "Cava buia" è sempre uno spettacolo nuovo ed insolito, e da rivedere, anche per chi l’ha già percorsa altre volte. Lunga oltre trecentosettanta metri, larga mediamente 2,50 metri, in alcuni punti le pareti superano i dieci metri di altezza. All’inizio mostra, sul ciglio della strada, una serie di “pestarole” medievali, per la pigiatura delle uve, che fungevano da punti di ristoro per i viandanti. La strada presenta al centro una canaletta per lo scorrimento delle acque meteoriche, mentre i carri poggiavano le ruote sulle spallette laterali. A circa metà strada alcune iscrizioni latine ricordano personaggi romani che hanno fatto restaurare il complesso nel I o II secolo d. C.. Ovunque croci disegnate sulle pareti, lasciano capire che la Clodia, già proveniente da Roma e che più avanti raggiungeva Tuscania e poi Sovana, veniva utilizzata dai pellegrini che dovevano raggiungere Roma nel corso degli anni santi. La Clodia su in alto, esce sull’immenso altipiano dello Sferracavallo, in località Casaletti. Noi lo attraversiamo seguendo un percorso tangenziale intercettando una vallecola in discesa per riaffrontare il Biedano, ma questa volta incontriamo minori difficoltà dell’andata. Visitiamo infine un tratto archeologico dell’Acqua Alta, ove ammiriamo solo un piccolo tratto di tombe rupestri qui portate in luce attraverso la boscaglia ed i rovi. Si tratta, stranamente, di due tombe costruite con influenze greco-orientali, riprendenti il tempio dorico, con tanto di timpano decorato con rilievi a caratteri mitologici, ai cui spigoli spiccano due teste di gorgone, che nei templi greci non compaiono mai; sotto questo un gheison dentellato ed una lunga teoria di triglifi e metope a protomi umane. Sono prive di parte della copertura di sottoportico e delle relative colonne (doriche) perché trafugate.

La nostra giornata finisce completando la visita delle tombe poste sulla via del Pile, già parzialmente percorsa: dalla “Vel Ziluse” (gemini) alla “Charun” (Caronte) ed ad altre indefinite ma pur suggestive ed interessanti. Appena esco su pian delle Vigne rivolgo sempre un sentito e mesto saluto a queste valli, che conservano anima e ricordo dei nostri padri etruschi.


 

Vanì 06/04/08

    PUBLISHED BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.