Caratteristiche:

Percorso:

Escursione a piedi:

  1. L'escursione è semplice all'inizio: basta seguire i numerosi cartelli segnaletici posti dall' Ente parchi, almeno fino alla chiesa di S.Giuliano ed al Bagno Romano. Per arrivare poi a Barbarano è un pò più impegnativa e serve una buona guida: occorre infilarsi nel bosco e seguire il percorso del torrente Neme, fino alla sua confluenza con il Biedano. Da qui resta solo da risalire il sentiero verso Barbarano Romano, ove si può arrivare sia per Porta Romana o Porta Canale.
    La mappa Google in basso è di per se indicativa, anche se il tracciato in color cardinale è spostato a sinistra rispetto al canyon in cui scorre il torrente..

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    Simboli dei parchi della Regione Lazio e di Marturanum Il Cartello all'ingresso

La cronaca, scritta con forte sentimento dal ns CORE:

"Thuruche Larth Mantureie"
Non è semplice la visita del sito archeologico etrusco che, nella sua imponenza, si presenta su tre altopiani, articolati da tre corsi d’acqua e che, secondo le nostre guide scritte, rappresentano le uniche vie di comunicazione ed orientamento, note e certe, per portarsi entro il luogo e transitare, senza pericolo di smarrirsi, tra la fitta vegetazione ed un groviglio di invitanti sentieri..

Gli etruschi che abitavano queste località, appartenevano ad un unico ceppo, stanziatosi sul luogo, identificato da Giuseppe Gargana, intorno agli anni "cinquanta" nell’antica "Marturanum", nome ora ripreso nella denominazione dell’Ente Parco. Ma per alcuni resta dubbia tale identificazione e non manca chi ritiene trattarsi della cittadina di Cortuosa, che Livio cita insieme a Contenebra come avamposti tarquiniesi, conquistati dai Romani nel 338 a.C., nonostante il ritrovamento, in loco, di un vaso etrusco che recava l’iscrizione: "Thuruche Larth Mantureie" (Sono stato donato da Larth di Mantura).

La rupe di tufo, intersecata dai tre corsi d’acqua (S.Giuliano, Chiusa Cima e Neme), orientata in direzione "est–ovest", fu un insediamento stabile nel Villanoviano, ma nel VI secolo a. C., (periodo arcaico) conobbe il suo massimo splendore, quando presumibilmente apparteneva ancora alla lucumonia Ceretana, per passare, successivamente, sotto l’egemonia Tarquiniese, a seguito del declino di Cere ed infine, sotto dominio romano, fino al completo abbandono del luogo. Ma nulla ci tramanda la storia, tranne i cospicui resti archeologici ed i reperti votivi delle migliaia di tombe, la cui variegata tipologia le fa attribuire ai periodi orientalizzante, arcaico ed ellenizzante, comprendenti, cioè, tutto l’intero arco storico di egemonia nel centro Italia del popolo etrusco. Peraltro le notevoli emergenze preludono chiaramente ad un luogo densamente abitato, presumibile ricco centro di pastorizia e di agricoltura divenuto poi, per la sua posizione strategica, fulcro commerciale tra le popolazioni tirreniche e quelle del medio e finale bacino del fiume Tevere. E grazie a questi presupposti che "Marturanum" deve aver accumulato ingenti ricchezze a favore di una classe dirigente, così come alcune tombe principesche lasciano intendere: Tumulo Cima, del Tesoro, Tomba Rosi, Costa, del Cervo, della Regina. Purtroppo, tombe così imponenti e innascondibili, non potevano non essere state profanate in varie epoche. Ad opera degli stessi etruschi nei momenti di decadenza delle primigenie famiglie principesche, dai Romani per la ricerca dell’oro e dell’argento. E dai "tombaroli" infine per tutto ciò che rimaneva (vasellame fittile, bronzi, bassorilievi su tufo ed altro).


Ma prendiamo ora in esame la nostra passeggiata.

Il "Tiburzi", oggi alquanto numeroso, parte dalla pittoresca area attrezzata di Poggio Caiolo, lasciandosi alle spalle il Tumulo della Cuccumella. Percorrendo una strada etrusca, delimitata da due crepidini in legno, raggiunge l’estremità est dell’altopiano, ove, sul margine sinistro, sono state portate in luce alcune tombe interessanti. La più grande con dromos munito di gradini e camera funeraria, ove sono ricavati anche due letti di deposizione destinati ad accogliere bambini. Degna di nota è la decorazione del soffitto. Costituita da grossi travi intagliati nel tufo, ad imitare il tetto delle abitazioni etrusche, così come ritroveremo anche in altre tombe del sito.

Scendiamo giù per un sentiero impervio fino a raggiungere il primo tratto del Fosso San Giuliano ove incontriamo, in mezzo alla selva, un singolare e grazioso complesso tombale detto le "Palazzine", avanti a noi sul costone roccioso è tutto un susseguirsi di tombe, le cui porte di accesso si affacciano, sul nostro sentiero, su più piani. Alcune di queste hanno i portali sotto il livello del terreno, per movimenti tellurici o smottamenti collinari. Proseguendo per il sentiero, in direzione ovest, affiancando sempre il San Giuliano, dalle sponde rigogliose di vegetazione, giungiamo alla Tomba della Regina. E’ questa la più monumentale che si possa incontrare nell’intero sito. A semidado, alta dieci metri, sulla facciata si aprono due porte modanate, all’interno letti di deposizione e banchina di fondo. Di lato, conserva, parzialmente visibile, una gradinata di accesso alla piattaforma superiore, destinata ad accogliere il corteo funebre di amici e parenti "lontani", che qui si fermavano, per seguire dall’alto le ultime fasi della deposizione sottostante, alla presenza di artigiani necrofori e dei parenti intimi del defunto. E’ la foggia a Semidado di questa tomba che ci lascia intuire il legame politico che può aver avuto Marturamum, intorno al 4° e 5° sec. A.C. (cfr. tombe di Norchia), con la lucumonia di Tarquinia. Seguiamo sempre il corso del fosso per giungere alla più emblematica tomba del sito: la Tomba del Cervo. Raro e significativo esempio di arte rupestre ellenizzante. Posta lungo un ripido pendio, si presenta a noi come un vero e proprio dado. Conserva ancora la gradinata laterale per accedere alla terrazza sovrastante, ed il dromos di sottofacciata per le deposizioni, mentre sulla parete destra si può ancora ammirare una singolare scultura in bassorilievo. E’ qui rappresentato un cervo dalle corna ramificate, forse inseguito da cacciatori, fronteggiato da un cane, che è riuscito a bloccarlo in attesa che giunga l’uomo, e porti con le armi a compimento la battuta di caccia. E’ così che interpreto l’opera scultorea, così come ritengo abbia voluto tramandare autore e committente, che suppongo un principe cacciatore che ha voluto immortalare sulla propria tomba un’immagine di caccia a lui tanto cara. Il bassorilievo rappresenta ormai, ovunque, il simbolo del Parco. Ma se vogliamo che l’immagine non sopravviva alla scultura, allora dovremo proteggere per tempo questo raro capolavoro su tufo giunto sino ai giorni nostri, a ricordo di una selva, tutt’ora presente, della sua selvaggina e dei suoi inseguitori ormai scomparsi.

Lasciata dietro di noi la Tomba del Cervo, traversiamo il fosso su un ponticello in legno, che ormai, grazie al muschio, si è perfettamente armonizzato con i colori del fitto bosco e sottobosco. La sua struttura, con i meandri del torrente, descrive un pittorico acquerello. Giriamo ora intorno al poggio di S.Simone, secondo insediamento etrusco. Le emergenze archeologiche sono qui ormai preda di rovi, ma sicuramente molto interessanti. Occorreranno robuste opere di disboscamento e scavi sistematici per rendere il sito fruibile. Incontriamo, sulla nostra destra, il Tumulo del Tesoro, unica tomba visitabile. Qualcuno chiede il perchè di tale denominazione. Non so dare alcuna risposta, tranne che all’interno delle camere, presunibilmente all’atto dello scavo, vi trovarono pregiati reperti etruschi in oro ed argento (tesoro), ora depositato in chissà quale museo del mondo o posto in qualche villa di furbastre persone abbienti. Intersechiamo la strada provinciale per redire in direzione di Barbarano e del complesso tombale per eccellenza del Parco.

E’ qui infatti l’Area necropolare di Chiusa Cima, con la omonima tomba principesca a tumulo (attribuita alla seconda metà del VII secolo a.C.), il cui toponimo ricorda il corso d’acqua. La tomba Cima, appartenente al periodo orientalizzante, presenta chiare similitudini ad analoghe e coeve tombe a tholos di Vetulonia in Etruria, micenee ed anatoliche. Soprattutto, la sua architettura, denota la dipendenza del sito, in questo periodo, dalla lucumonia di Cerveteri (cfr. tombe della necropoli della Banditaccia). Il nostro enorme tumulo circolare (dal diametro di 25 metri), è stato ricavato in negativo nel banco di tufo. Esso è preceduto da una piattaforma da cui ergono 9 cippi, in forma di pilastrini quadrangolari terminanti a forma di piramide. Probabilmente su quei piastrini venivano adagiati i defunti entro letti di trasporto, dopo che il corteo funebre, dalle abitazioni, raggiungeva l’area necropolare. Qui probabilmente si eseguivano riti religiosi prima della definitiva tumulazione. Noi ci adagiamo innocentemente sulla piattaforma, per ascoltare un breve intervento sul tumulo e sul luogo, eseguito a cura di un incaricato. Il tumulo circolare presenta, oltre alla monumentale e primigenia tomba principesca con ingresso a settentrione, altre tombe più modeste, per le deposizioni della stessa famiglia, che per oltre un secolo ha ricavato lungo il perimetro. Gli interni presentano un dromos di accesso e camere di sepoltura. Ma la tomba principesca dispone di un lungo corridoio, che raggiunge il centro del tumulo, ove è alloggiato un monumentale letto funebre, e delle celle laterali, prima del vestibolo. Il soffitto di quest’ultimo ambiente è una chiara imitazione di una copertura lignea delle abitazioni etrusche. Così che possiamo vedere come venivano costruite le case dai nostri progenitori, la cui base era incassata nella roccia, mentre l’alzato e le coperture venivano realizzate in legno. Singolare il vano che precede il vestibolo, che presenta una imitazione di copertura del soffitto delle capanne, in legno e frasche.

Scendiamo quindi il sentiero che porta a valle, costellato di tombe di un certo rilievo, la Gemini, la Rosi, la Costa, tutte egualmente belle (quest’ultima sul fondo, ove è rappresentata una finta porta, è stata forata dai tombaroli, con il loro furino, nella vana speranza di trovare altri ambienti da predare – annotiamo un ennesimo scempio gratuito ). Si scende ancora in basso, ove è ricavata una piazzetta ai cui lati si presentano innumerevoli tombe dalle forme più disparate. Sono queste tutte opere rupestri del VI secolo a.C. (periodo arcaico).

Lasciata l’area necropolare, traversiamo un piccolo torrente per risalire, attraverso una comoda sterrata, il pianoro ove sorgeva l’antica città. Residui della città etrusca e romana, non ce ne sono, evidenti. Dalla Soprintendenza apprendiamo, attraverso cartelli esplicativi, che il fossato, ove siamo passati noi, è stato realizzato in epoca etrusca e che all’incirca, prima di scollinare sul piano, doveva esserci una porta urbica. Ove ora si scorgono scarse tracce di mura etrusche e medievali. Il piano della città, portato in luce dagli scavi, presenta canali longitudinali di drenaggio e cisterne per la raccolta delle acque piovane, null’altro. Le strutture lignee delle abitazioni non hanno retto all’incuria del tempo ed agli agenti atmosferici. Pressappoco al centro del pianoro è posta la chiesa di S. Giuliano, medievale, ma ricavata su un tempio etrusco. Risale forse al XII secolo. L’abside centrale era fiancheggiata da due absidi minori, di cui resta solo quella di destra. Costruita in blocchi di tufo, riutilizzando basamenti di abitazioni etrusche, colonne e frammenti architettonici di epoca romana. Sulla sinistra della chiesa si può osservare una singolare trasformazione, in epoca romana, di un ambiente sotterraneo etrusco, trasformato in bagno, raggiungibile da una ripida scala. Sono chiaramente visibili cunicoli per la raccolta della acque dal soprastante pianoro.

Dopo il pranzo al sacco il "Tiburzi" riparte per raggiungere Barbarano. Il sentiero che rimane è lungo e molto bello, anche se un pò impervio ( ne fanno le spese tre simpatici ciclisti con Montan-bike in spalla che, malgrado il Gps sul manubrio, trovano più utile aggregarsi a noi per tornare a Barbarano). Dobbiamo però affrettarci perchè in poco più di un paio d'ore il sole sarà al tramonto e perciò risulterebbe difficoltoso procedere lungo il fosso in penombra. La vegetazione e molto simile a quella incontrata nell’ultima escursione sul Biedano, ma gli scorci del fosso Neme sono incantevoli.

Il percorso tortuoso si apre con continue immagini diverse. Ma alcuni di noi, per la stanchezza e per il timore di non arrivare in tempo a Barbarano, non pongono la giusta attenzione al bosco. A dispetto della previsione di qualche "gufo", alle ore 16.20, quando il sole è ancora entro l’ultimo "quarto" del suo cammino nel cielo, siamo già sotto la suggestiva rupe del paese. Entriamo da Porta Canale ed ovunque noto volti gioiosi, rasserenati dalla bella passeggiata che, a detta poi di Maria Luisa, è stata la più bella. Ma lei dice sempre così al termine di ogni escursione, e lo direbbe anche se dovessi, al limite, programmare passeggiate a "Zampa d’Agnello" od al depuratore del fosso della "Fiumaretta"!

Vanì, 04/11/07.

Mappa del percorso :

Mappa percorso

    BY ACE - GRUPPO TREKKING TIBURZI.

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