Torniamo, dopo 3 anni, a ripercorrere il sito di San Giovenale, in una giornata stupendamente estiva! Peccato che alcuni di noi siano stati spaventati da previsioni televisive di piogge abbondanti! Ad essi posso solo dire di fidarsi di più di quelle che offre il sito linkato al termine della ns Home Page: non ne sbagla 1 da + di 5 anni. Aveva infatti previsto solo 1 mm di pioggia nel tardo pomeriggio e così è stato.

Come accade da qualche tempo le ns foto della giornata sono precedute da alcune note del ns Conductor: eccole anche stavolta, seppur un poco in ritardo per alcuni noiosi contrattempi che lo hanno coinvolto e che gli auguriamo di superare al più presto.

SAN GIOVENALE – 24 ottobre 2010

Per noi profani, la vista del sito, appare nell’insieme delle sue evidenti emergenze come un agglomerato coevo di strutture abitative, ambienti artigianali, necropoli con tombe principesche, gentilizie ed altre per la media borghesia (Casal Vignale), sovrastato da un impertinente castelletto a pianta triangolare che, dall’alto delle mura, domina la valle del medio Vesca ed i suoi canyions . Ma la estensione del centro non si esaurisce qui, nelle valli prossime e colli prospicienti sono presenti altre importanti aree necropolari ascrivibili al sito: Grotta Tufarina, Porzarago, Le Grotticelle, Le Poggette, Cammerata, Montevangone e il Terzolo.

Per la presenza di una chiesuola di San Giovenale, il sito prende il nome da questa. Ma nessuno ne conosce il nome storico: in realtà potrebbe trattarsi dell’etrusca Cortuosa, citata da fonti latine, di incerta ubicazione.

Dono del Re Gustavo di Svezia, così come ora appare, prima del 1956 il sito riposava incognito sotto una spessa coltre di terra. L’Istituto Svedese di Studi Classici-Roma, per volontà del suo Re, fortemente attratto dalla storia e cultura etrusca, ha messo in luce quanto risulta visibile, riaffondando strutture sensibili nella terra.

Ma l’incuria e la trascuratezza delle istituzioni per “il petrolio archeologico” e l’avidità dei frequenti ed abili tombaroli per siti come questo, incustoditi, vanno a braccetto. Non è mai certo, con il loro innegabile fiuto, dove andranno a “parare”; si scopre soltanto più tardi, quando sul cammino si vede affiorare terra smossa dal colore intenso! Ma è ancora vivo in me il ricordo di un ben noto tombarolo, presentatomi da un comune amico, tempo addietro, nel corso di una cena a “cinghiale”. Ad ascoltarlo era un vero piacere, si restava affascinati, i suoi avvincenti racconti ti prendevano e trasportavano pur nella turpe e losca sua attività!

Ma la mia bile travasò al racconto che in passato, a “caccia” di reperti, con altri amici nella valle del Fiora, individuata una cavità lungo il costone del fiume, dopo estenuanti fatiche per aprirsi un varco, si accorsero di aver trovato un gran deposito di grezze “lolle”, come lui diceva (olle), reperti che nessuno ricercava. Non un sigillo, un fregio, un dipinto che ne aumentasse il valore commerciale. Avevano messo le mani su un insignificante ed anonimo (sic!) deposito di un orciaio etrusco che produceva “cocci” non di classe, destinati al grande commercio.

Le grandi anfore erano tante, anzi tantissime, tutte ben stipate. Presi dallo sconforto, i tombaroli, con le mazze usate per aprirsi il varco nella roccia, indemoniati, preda di una forsennata mattanza, ridussero in frantumi tutto il deposito. Alle mie ovvie obiezioni asserì costui, supportato dal fatto di essere etrusco, il suo buon diritto a cavare tesori da quelle tombe, quale erede dei suoi antenati.


San Giovenale fu frequentata dall’uomo per un lasso di tempo non inferiore ai quattromila anni e senza soluzione di continuità. Dal periodo appenninico alla conquista romana, salvo qualche rara pausa in cui la vita subì un significativo decadimento, dopo il declino dell’impero romano. Rifiorì nel medioevo, ad opera della potente famiglia Di Vico.

La strada doganale che dalla Tolfa conduceva a Viterbo superando il Vesca in prossimità di S. Giovenale, fungeva da “bretella” tra le Vie Clodia e Cornelia, collegando l’ampio hinterland “Viterbese” con le aree romana e tarquiniese, favorendo fiorenti scambi e commercio.

Nel corso degli scavi, la piana di Vignale e Casal Vignale, hanno restituito fondi di capanne appenniniche, resti del protovillanoviano, deposizioni del villanoviano vero e proprio, case e tombe del periodo etrusco, un castello ed una chiesa medievali. Questi ultimi, costruiti su precedenti analoghe emergenze, con l’utilizzo di blocchi di tufo appartenenti a tombe ed abitazioni etrusche.

Il “passaggio” sul sito di popolazioni transumanti, la successiva integrazione con indigeni e con nuclei di popolazioni “pelasgiche” ed etrusche, hanno determinato la fondazione del piccolo centro, dapprima retto su economie pastorali, agricole poi, per volgere, nel periodo etrusco, verso una ricchezza inusitata, mai opinabile, come manna piovuta dal cielo: i preziosi minerali dei monti della Tolfa.

Le tipologie tombali della necropoli evidenziano un distacco di tempo di almeno trecento anni, tra le principesche deposizioni a tholos della parte alta del colle, con quelle a dado e semidado (tomba della sedia) prossime alla porta d’accesso al sito. Questo gap “temporale” andrebbe studiato!

Ciò comunque evidenzia, in San Giovenale, il passaggio del comando dal monarca ad una casta nobile emergente, appartenente a potenti gruppi familiari. Mentre lascia stupefatto il visitatore, la similitudine, nel motivo di insieme, della porta dei Leoni di Micene, con l’ingresso di una tomba a Tholos, in luce nella necropoli alta.

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Il grazioso villagetto - posto al riparo sotto un discutibile, freddo, ma pragmatico capannone - secondo le ultime opinioni degli archeologi, doveva trattarsi di una antesignana “zona industriale”, comprendente abitazioni dei minatori e laboratori per la riduzione del ferro.


Il sentiero recentemente realizzato dal Comune di Blera, per raggiungere il sito, corredato da utili tabelle didattico-esplicative, in parte franato verso il Vesca, è stato completamente fagocitato dai rovi e da altri arbusti a crescita rapida, in maniera tale da non essere quasi più visibile. Qualche cartello vandalizzato dal solito cretino che non limitandosi soltanto a questo, ha anche spostato di 90° una freccia indicante la direzione da seguire per raggiungere San Giovenale. Il rischio di ingannare l’ignaro ed incauto trekkista munito di scarso di senso di orientamento è elevato. Nei nostri boschi dovrebbe circolare soltanto chi li conosce bene, chi è capace, chi sa orientarsi e muoversi anche soltanto alla pallida luce della luna.

Le frecce direzionali, le carte topografiche righelli e goniometri, bussole, non servono proprio a nulla se non a rendere una visione generale, d’insieme, e dare al massimo un’idea relativa della propria posizione! Una balza di dieci metri posta sul sentiero, troppo piccola per essere riportata tra le curve di livello delle carte al 25.000, insormontabile ripida, quanto impossibile da valicare se colonizzata da rovi, è sufficiente per allontanare molto dalla “diritta via”. Ed una volta fuori rotta i problemi si fanno davvero seri! Gli etruschi questo lo avevano già intuito ed a maggior tutela della sicurezza del loro territorio, si servivano dei rovicciai per proteggersi e rendere inaccessibili i loro villaggi.

In “giro” di gente abile nell’orientamento se ne trova ormai ben poca, ciononostante c’è chi si ritiene a torto “guida capace” pratica, ma passi laddove costui si limiti all’ostentazione, alla vanagloria soltanto, guai se dovesse passare alla fase pratica. Non di rado cercatori di funghi, cacciatori od escursionisti, vuoi per condizioni meteo avverse, vuoi per errori di rotta o percorsi fuori pista, sono dati per dispersi. Nel migliore dei casi se la passano con una brutta strizza, passando la notte “nature”, all’addiaccio.

Il Gruppo, partito dal Centro “ippico” di Bartoli alle ore 10.00 c.a., fa rientro alle 14.30. Complimenti ai tiburziani, hanno cominciato presto a galoppare. Arrivederci a Sutri, nostra prossima meta.

vani 02-11-2010


LE FOTO
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